Intervista agli Zu: riscoprire il suono, riscoprire se stessi.
Scritto da Davide Montoro il 23 Luglio 2024
Carriera ultraventennale, tanti dischi e collaborazioni: agli Zu di oggi, però, sembra non importare l’aspetto materialista del vivere la musica: ce lo spiega meglio Massimo Pupillo, nostro interlocutore in un’intervista dal sapore speciale. La foto a metà articolo – in miniatura – è di Serena Dattilo, che ringraziamo.
C’è una chiave di lettura psicologico-introspettiva nel vostro linguaggio musicale, il groviglio sonoro come rappresentazione in musica dei nostri conflitti interiori, e il vostro periodo su House Of Mythology, quello votato alla riflessione e l’introspezione. Quanta importanza date alla musica intesa come scappatoia salvifica per chi vi ascolta?
Il suono per quanto ci riguarda è sacro. E’ l’Om primordiale ed il Logos. Non è una scappatoia perché non è escapismo, al contrario, per noi significa andare sempre più dentro. Ma è certamente salvifico, oltre a dare senso e significato in modo prelogico, quindi assolutamente primordiale diretto arcaico e a volte quasi violento. E’ il contrappeso alla devastazione mentale spirituale e fisica a cui stiamo assistendo in questi anni e che sembra intensificarsi sempre di più. Quello che chiami groviglio per noi è stratificazione, perché se ti guardi dentro scoprirai di essere composto di strati che convivono, che a volte formano una sinfonia ed altre una cacofonia. Infatti non è un caso se quella operazione si chiama proprio “Composizione”. E’ un operazione alchemica che cerca di trasformare il piombo interiore in oro simbolico. Ma questo interiore non è necessariamente personale. Non racconta e non nasce come biografia. Per questo arriva, e per questo non si mette su un inutile piedistallo. E i simboli comandano il mondo.
Una persona può avere libertà di espressione col proprio strumento pur non avendo mai studiato? Si può andare lontano – nel senso di raggiungere l’ascoltatore empaticamente – anche mettendoci solo cuore, inventiva e curiosità?
La libertà di espressione e quindi di pensiero, a nostro avviso viene spesso, quasi sempre, inibita se non mutilata in modo indelebile e inconsapevole proprio dallo studio, e questo in ogni ambito. Ci sono imbuti cognitivi , forzati ed invisibili, che portano necessariamente a quell’epilogo. Poi, c’è una tendenza dualistica al pensiero umano in questo momento storico per cui è o destra o sinistra in tutto. Le mitologie avevano spesso strutture tripartite, trinitarie, che sono molto più comprensive di possibilità. Nel triangolo c’è uno spazio, mentre su una linea no. In questo caso ti rispondo, perché intelligenza e cuore/intuito non possono convivere? Andando quindi nella trinità, perché non metterci dentro anche la componente- corpo? Perché credo che questo sia stato il nostro percorso. Oggi si vedono musicisti ipertecnici ovunque su You Tube, ma dov’è la loro musica? Allo stesso modo devi avere un minimo di coscienza del suono e di tecnica per espanderlo altrimenti rimani legato mani e piedi alla prima cosa che hai fatto. E allo stesso tempo, il corpo deve vibrare e direi quasi esultare nella frequenza e nel suono, altrimenti è tutto solo lettera morta.
A tal proposito, come vi siete avvicinati al vostro strumento?
Con amore, rispetto, devozione e un pizzico di iconoclastia.
Sul palco siete disposti come un vero e proprio impianto architettonico, penso inoltre alle bordate soniche e intuizioni di Xenakis, il suo studio mai fine a sé stesso. Il suo universo può non essere poi così distante dal vostro, o è un azzardo esagerato?
Può sembrarti presuntuoso che io ti dica che prendiamo le distanze da Xenakis, nel triangolo di cui ti parlavo prima per noi lui ha occupato principalmente la punta intellettuale, ma è stato il percorso generale del ventesimo secolo, bisogna mettere ogni fenomeno nella sua storia. La disposizione sul palco fa parte del bisogno di sentire nel corpo la frequenza che mette l’altro, oltre a comunicare l’idea della stessa importanza degli strumenti, che escono dal proprio ruolo, e si dispongono in maniera paritaria. Abbiamo tanti ascolti classici e contemporanei ma credo che per noi il punto di partenza, ovviamente non c’è bisogno di dirlo, inarrivabile, sia sempre stato Stravinsky.
E’ lecito pretendere che il musicista non sia un semplice esecutore ma, volendo utilizzare una metafora, un’antenna che capta un’onda e la rende reale, la rende musica. Al giorno d’oggi il musicista è ancora un libero pensatore, o quale meccanismo si è rotto?
Sono due domande molto grandi che meriterebbero una trattazione non esauribile in un’intervista. La parola che usi è esecutore ed esecutore mi fa pensare ad una esecuzione, cioè un uccisione. Non ci siamo mai sentiti esecutori. Gli stessi brani passano attraverso di noi sera dopo sera come una vita propria. Quando smettono di farlo vengono in qualche modo messi a nanna. Noi possiamo essere la lampadina, quindi la parte visibile che sembra illuminarsi, ma l’energia elettrica da dove arriva? Abbiamo sempre sentito il nostro ruolo come vettore al punto da definire quello che facciamo come musica vettoriale. Sicuramente non nasce nulla da noi, inteso come identità personale. Noi siamo un canale, sì, magari facciamo delle scelte, ma il materiale stesso arriva in modo misterioso dal Grande Altrove. Il musicista come ogni altro essere umano su questa terra, specialmente in occidente, è sottoposto ad un tale bombardamento ed inscatolamento mentale ed animico, che è veramente difficile rimanere liberi pensatori connessi al Logos a meno che non ci sia un percorso parallelo personale, una ricerca spasmodica ed impegnativa tanto quanto se non più di quella musicale o professionale. Zu per noi è sempre stato espressione di una rivolta ontologica, lo dico da lettore precoce di Albert Camus. Questa rivolta ti porta fuori dal mondo della realtà consensuale e dalla norma intesa come strumento geometrico. La permanenza in questo luogo pur essendo sempre, sempre, insidiato da Babilonia, si paga a caro prezzo, ma offre una visione molto più chiara. E’ un sacrificio da pagare. Un tempo era un fatto istintuale ed animale a guidarci li. Oggi sappiamo qualcosa in più di quando abbiamo iniziato.
Quanto è importante non andare alla ricerca spasmodica di un obiettivo?
E’ fondamentale. Per parafrasare la Bhagavad Gita, la gioia dell’azione senza pensare ai suoi frutti. Ci deve essere prima di tutto quella gioia, altrimenti diventa tutto fatica. Non ne varrebbe la pena. L’ obiettivo può solo essere mentale e quindi immaginario, al di dentro del Grande Sogno. Il viaggio e non la meta. Poi ovviamente siamo nati e cresciuti in una cultura altamente tossica e profondamente, incurabilmente malata quindi va fatto anche un lavoro di ridefinizione linguistica, perché è sempre lì come esseri pensanti che si gioca la partita. Se rinneghi il successo in modo puritano ti auto-mutili, se lo cerchi per come è definito dal mondo sei automaticamente dentro Babilonia. Devi ridefinire le parole, quindi in questo caso posso dirti che per noi la definizione è semplicemente fare quello che sentiamo intimamente vero. Sbagliando, cadendo e rialzandoci.
Con le vostre collaborazioni ci insegnate quanto sia importante fare esperienza, essere affamati di conoscenza: è anche questo un altro elemento che vi ha portato fin qui oggi? Qual è l’album – e relativo tour – che ricordate con piacere e che vi ha arricchito di più?
L’esperienza e la conoscenza sono due ambiti molto diversi. Puoi fare tutta l’esperienza che vuoi ma se non ti sei dato gli strumenti per comprenderla non ti porterà un passo avanti. La fame di conoscenza, e qui siamo in ambito extramusicale, è sicuramente la chiave di tutto. Non ti rispondo su album e tour perché il passato diventa, si trasforma in ciò che sei ora, non in un museo. E’ il mistero del presente, e il regalo del presente. Questo fa sì che la musica sia viva.
Le estemporanee vissute con tanti artisti da tutto il mondo fanno pensare a tutto tranne che a Zu, che significa “chiuso”. Avreste mai pensato un giorno, di mischiare le carte in tavola, diventare “sfuggenti”?
Credo che la trilogia su House of Mythology, quindi Zu93, Jhator e Terminalia Amazonia sia quanto di più sfuggente potessimo fare, ma la motivazione non era certo mischiare le carte in tavola. Non è mai un concetto a guidarci, ma sempre un’Idea in senso greco. E ti indico che Zu può significare molte cose diverse in diverse lingue. Chiuso era solo il nostro inizio. Un temenos, un hortus conclusus in cui ci siamo messi in incubazione fino alla nascita della prima nota.
‘Heavenly Guide‘ e ‘Our Forgotten Ancestors‘ sono i vostri due ultimi dischi solisti. Album molto speciali, profondi, che hanno bisogno solo del momento giusto per essere capiti. C’era un’esigenza o un messaggio in particolare che volevate lasciare nel momento in cui avete composto quei brani?
Abbiamo la fortuna o il karma di camminare su percorsi paralleli. Per entrambi nasce tutto da una ricerca arcaica di una memoria ancestrale, accompagnati da una profonda fede che non ha bisogno di definizioni. Esigenza e messaggio non sono intellettuali quindi sono inesprimibili, quindi sono possibili , vivi e vivificanti solo come musica.
Cosa vi ha spinto a far ristampare i vostri primi due dischi e la demo su vinile?
Non siamo collezionisti di noi stessi e non ci interessa il museo. Posso dirti cosa non è, non è un’autocelebrazione. La prima fase Zu era appunto chiusa, poi si è aperto tutto e anche il materiale più antico forse aveva ancora qualcosa da dire e la dignità di essere ascoltato in modo consono. Ci hanno chiesto questi dischi per anni. Davide Cantone di Subsound è un nostro amico e ci ha proposto di stamparli, è stato tutto semplice e spontaneo. Li abbiamo comunque rilavorati e addirittura rielaborati, direi. E’ stato un momento in cui la pausa forzata dal 2020 in poi ha avuto l’effetto, almeno per un breve momento, di farci guardare indietro e tirare le somme su quello che siamo.
Un po’ di impressioni sull’esperienza avuta con Yoshida dei Ruins.
Yoshida è stato fondamentale per noi negli anni ’90 perché dopo le prime date coi Ruins ci diede lui i contatti per le prime date all’estero, oltre ad essere una nostra grande ispirazione musicale. E di nuovo ci ha fatto da restarter nel 2023 quando dopo anni di reciproco silenzio mi ha scritto proponendomi di suonare insieme. Non so se avremmo ricominciato se non fosse stato per lui, ma fatto sta che lo ha fatto, quindi grandissima gratitudine per lui, rispetto, ed ogni altro complimento possibile.
Quale insegnamento porterete con voi stavolta?
Che di vita in vita, e di morte in rinascita in questa stessa esistenza, l’amore e l’amicizia sono tutto. Il cambiamento in atto nel bene e nel male è enorme. Grazie di queste domande. E’ molto raro trovare una intervista che abbia un pensiero . Questo cambia tutto. Grazie.
Digital Album Jhator by Zu su Bandcamp
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