MARK LANEGAN 60 – Il concerto tributo alla Roundhouse di Londra

Scritto da il 8 Dicembre 2024

Mark Lanegan 60

Londra, The Roundhouse, 5 dicembre 2024

recensione del concerto

Piove, ma non poteva essere altrimenti. Siamo a Londra, precisamente a Camden Town, di fronte a un edificio industriale che ora è una sala per eventi. “The Roundhouse”, si chiama. La casa rotonda, una casa che nel corso degli anni ha contribuito a riqualificare il territorio ed è diventata un punto di riferimento culturale, ospitando mostre, eventi e concerti di artisti locali e star internazionali.

Stasera, di star internazionali c’è davvero l’imbarazzo della scelta: Dave Gahan, Josh Homme, Chrissie Hynde, Bobby Gillespie, Greg Dulli, Troy Van Leuuwen e tanti altri. Tutti insieme su un palco, a celebrare Mark Lanegan. Un amico andato via troppo presto, che avrebbe compiuto 60 anni il 25 novembre e che manca tantissimo; a loro, ma anche alla gente che, ordinata in una lunghissima e britannica fila, sfida da ore la pioggia battente aspettando che si aprano le porte.

Arriva il momento tanto atteso e alle 20.30 in punto si spengono le luci. Nel buio, la voce di Mark Lanegan si diffonde ovunque. Si tratta di una registrazione di 12 Gates to the City, che stringe il cuore dei presenti. Quasi ti aspetti di vederlo apparire, da un momento all’altro.

Gli onori di casa sono affidati a Dave Gahan, che apre le danze con Sideways in reverse. Mark Lanegan aveva una voce unica, roca, viscerale, in grado di arrivare alle profondità dell’anima. Il compito di eseguire i suoi pezzi è impresa ardua, anche per artisti di spessore come quelli in scaletta. Ma Gahan se la cava benissimo, come sulle successive Low, Kingdoms of rain e Strange religion (bellissima e intensa, anche grazie ai tre vocalist Janet Rasmus, Wendi Rose e T Jae Cole dei Soulsavers, che hanno fatto da coristi per l’intero concerto). Fa un effetto strano vedere il frontman dei Depeche Mode in una dimensione così raccolta, quasi insolito nella sua sobrietà ed eleganza, schivo nell’approccio e controllato nell’esecuzione. Ma l’evento, questo richiede: rispetto e misura. Nessuno degli artisti presenti è qui per fare mostra di sé, bensì per celebrare la carriera di un artista forse sottovalutato, di sicuro sfortunato, a cui stasera si vuole rendere il giusto merito.

E allora Dave Gahan, senza troppi giri di parole, si improvvisa presentatore e introduce il secondo set, quello di Bobby Gillespie. A lui spettano l’esecuzione di Driving Death Valley Blues, Pendulum e il compito di infiammare l’atmosfera, già peraltro calda, con Sworn and broken, primo dei pezzi degli Screaming Trees in scaletta. In effetti l’entusiasmo del pubblico è palpabile, tuttavia la sensazione è che dipenda dall’affetto per Mark più che dall’esecuzione di Bobby, tanto impersonale da risultare un po’ scialba.

Il set successivo, al contrario, fa l’effetto completamente opposto: Alison Mosshart (The Kills) personalizza molto, a tratti anche troppo, ma dà vita a un’esibizione assai convincente. Particolarmente azzeccate le sue versioni di When your number isn’t up e Wedding dress, vere e proprie mission impossible sulla carta, ma portate a casa con grande perizia, grazie alla scelta intelligente di imprimere ai pezzi una maggiore aggressività, a dispetto del languore che contraddistingueva Lanegan e che sarebbe stato impossibile riprodurre. In questo, parte del merito va alla band di supporto, composta da numerosi musicisti (ben 4 chitarre!) che nel corso della loro carriera hanno, a vario titolo, collaborato con Lanegan: da Troy Van Leeuwen a Martyn Lenoble (Soulsavers) ad Aldo Struyf, leader della band che Lanegan aveva intitolato a suo nome e legato a Mark da una profonda amicizia, tanto da essere da lui chiamato “brother”.

Colpisce, in effetti, la penuria di brani della Mark Lanegan Band in scaletta, che privilegia invece le tracce dei primi album solisti, con qualche incursione nel periodo Screaming Trees e nei pezzi tratti dalle numerose collaborazioni con gli artisti sul palco. E’ questo il caso di Duke Garwood, legato a Lanegan da un lungo sodalizio e da una profonda amicizia. L’artista londinese imbraccia la chitarra e sale sul palco per un paio di pezzi, tra cui una I am the wolf così intensa e commovente da muovere fino alle lacrime più di qualcuno tra i presenti.

Ancora cambio di palco, è il turno della canadese Tess Parks che canta Resurrection song, per poi lasciare il posto a Greg Dulli e a uno dei set più emozionanti dell’intera serata. L’amicizia, dicevamo. Tra gli artisti sul palco, Greg Dulli è l’amico per eccellenza di Mark Lanegan, quello che ha vissuto con lui per un anno e mezzo, quello che lo ha aiutato nei momenti difficili e che da lui è stato salvato dal suicidio, quello che per primo, questa sera, rivolge un pensiero direttamente a lui e parla dei momenti vissuti insieme. Per l’esibizione viene chiamato sul palco, a sorpresa, Rodrigo D’Erasmo –legato sia a Dulli che a Lanegan da molteplici collaborazioni insieme agli Afterhours– e le note del suo violino contribuiscono ad alimentare la già intensa emozione del set: Methamphetamine blues, Change has come, The River rise e soprattutto The stations, pezzo di The Gutter Twins che Dulli esegue con Ed Harcourt a interpretare la parte di Lanegan.

E’ proprio Harcourt a esibirsi dopo Dulli con One way street. Il brano è uno dei più rappresentativi del repertorio di Mark Lanegan e racconta con struggente malinconia la sua dipendenza dalle droghe, la consapevolezza di trovarsi di fronte a una strada a senso unico. Ed Harcourt ha dalla sua il timbro vocale, vicinissimo a quello di Lanegan, ma l’esecuzione a parere di chi scrive lascia a desiderare: forse troppo “aggressiva” e priva di quel senso di rassegnata disperazione che il brano suggerisce.

E’ già passata più di un’ora e mezza, ma tanta è ancora l’attesa per i nomi che si avvicenderanno sul palco. Il primo è quello di Chrissie Hynde, salutata con un’ovazione dal pubblico. E’ bella, elegante, composta, fiera e insieme dolcissima, mentre lancia un bacio al cielo e saluta il “suo” Mark. E’ la terza donna a esibirsi su pezzi molto impegnativi, pensati per il peculiare registro vocale di Lanegan; anche qui, il rischio di uscire fuori dal seminato sarebbe alto, se non fosse la splendida professionista che è. Niente paura: Kimiko’s dream house, Halcyon Daze e Revelator (terzo brano degli Screaming trees) sono eseguite alla perfezione e con grandissima intensità, complice l’arrangiamento minimale e sofisticato, evidentemente pensato per le sue corde. Chrissie è commossa, felice di essere qui a celebrare il “suo” Mark, ma del resto questa è la sensazione che abbiamo tutti noi presenti, che abbiamo il privilegio di assistere a un evento unico e irripetibile.

Dave Gahan in un’intervista a NME ha dichiarato “avremmo potuto fare cinque serate”, riferendosi all’enorme richiesta di biglietti per l’evento, andato sold out in pochissimi minuti. Ma la scelta è stata quella di organizzare un evento unico, in una dimensione più raccolta, come sarebbe piaciuto a Mark e chissà, forse per scelta della moglie Shelley Brien, che appare ai cori proprio durante il set di Chrissie Hynde e ringrazia commossa il pubblico in delirio.

“Mark avrebbe fatto finta di odiare tutto questo, ma in realtà ne sarebbe stato felice”. E’ con queste parole che si presenta sul palco l’ultima star della serata, Josh Homme. Tra i contributi di stasera non poteva mancare il suo, non solo per motivi affettivi, ma anche per l’importanza che i Queens of the Stone Age hanno rivestito nel dare nuovo impulso alla carriera di Mark Lanegan in uno dei suoi momenti più difficili. Il set di Josh Homme si apre con due pezzi, Carnival e El sol, decisamente insoliti per la sua voce, dal timbro così chiaro e abituata a muoversi su registri completamente diversi da quelli di Lanegan. E infatti, su El sol Troy Van Leeuwen attacca nella tonalità sbagliata, costringendo Homme a chiedere di ricominciare daccapo e creando l’immancabile siparietto umoristico. Ma nonostante l’incidente di percorso, entrambi i brani sono un piacere per le orecchie e per i sensi, Josh è bravissimo e la sua interpretazione è tra le migliori della serata.

E’ il momento dei duetti.  Torna Alison Mosshart e il frontman dei Queens of the Stone Age esegue insieme a lei una meravigliosa Come to me, poi ancora sale sul palco Dave Gahan per dare vita, insieme a Homme, al momento in assoluto più intenso del concerto: One hundred days, le due voci si intersecano magnificamente e c’è spazio solo per le lacrime.

La commozione continua quando nella sala si diffonde, ancora una volta, la voce di Mark Lanegan in un’inedita versione di Presence of God dei Soulsavers, mentre sugli schermi vengono proiettate immagini di vari momenti della sua vita. Il pubblico ormai è completamente soggiogato, ma non è finita qui: Greg Dulli torna sul palco insieme alla band per una strepitosa versione di Dollar bill e siamo tutti scaraventati negli anni 90, siamo tutti in delirio, siamo giovani e bramosi di vita, poi ancora Dave Gahan, con la bellissima Revival dei Soulsavers, fino al gran finale con Hit the city,  con un insolito Josh Homme al basso ad accompagnare Gahan,  mentre nella parte che fu di PJ Harvey c’è ancora lei, Shelley Brien, che canta con gli occhi pieni di lacrime.

Sono passate più di due ore e mezza. Ora sono tutti sul palco, a prendersi commossi l’ovazione del pubblico. E’ stata una serata unica, speciale, intensa, ad altissima tensione emotiva. Proprio come l’arte di Mark Lanegan, ancora sul palco per una notte e per sempre nei nostri cuori.

 

SETLIST

• 12 Gates To The City (Mark Lanegan, registrazione)
• Sideways in Reverse (Dave Gahan)
• Low (Dave Gahan)
• Kingdoms of Rain (Dave Gahan)
• Strange Religion (Dave Gahan)
• Driving Death Valley Blues (Bobby Gillespie)
• Pendulum (Bobby Gillespie)
• Sworn and Broken (Bobby Gillespie)
• Mockingbirds (Alison Mosshart)
• Mud Pink Skag (Alison Mosshart)
• When Your Number Isn’t Up (Alison Mosshart)
• Wedding Dress (Alison Mosshart)
• Judgement Time (Wendi Rose, T Jae Cole, Janet Ramus)
• High Life (Duke Garwood)
• I Am the Wolf (Duke Garwood)
• Resurrection song (Tess Parks)
• Methamphetamine Blues (Greg Dulli)
• Change Has Come (Greg Dulli)
• The Stations (Greg Dulli)
• The River Rise (Greg Dulli)
• One Way Street (Ed Harcourt)
• Kimiko’s Dream House (Chrissie Hynde)
• Halcyon Daze (Chrissie Hynde)
• Revelator (Chrissie Hynde)
• Carnival (Josh Homme)
• El Sol (Josh Homme)
• Come to Me (Josh Homme+Alison Mosshart)
• One Hundred Days (Josh Homme+Dave Gahan)
• Presence of God (Mark Lanegan, registrazione e tributo video)
• Dollar Bill (Greg Dulli)
• Revival (Dave Gahan)
• Hit the City (Dave Gahan+Shelley Brien+Josh Homme al basso)

A Radio Elettrica abbiamo bisogno del sostegno di tutti.

Se ti piace quello che facciamo… Sostienici!



 


Traccia corrente

Titolo

Artista

Background
WhatsApp chat