Recensione: Volevo Essere Un Duro – Lucio Corsi
Scritto da Manuel Nash il 10 Aprile 2025
Lo ripetuto da tempi non sospetti: tra 20 anni il nome Lucio Corsi avrà il suo (meritato) posto tra i nomi storici della nostra canzone d’autore. Questo nuovo lavoro rende, se possibile, ancor più verosimile uno scenario simile. Disgraziatamente, la meritata fama (parliamo comunque di un giovane artista che, in tempi di effimere scorciatoie talento, si è accollato il peso della cara e vecchia gavetta) ha inevitabilmente fomentato le reazioni scomposte dei classici detrattori “a ignora”. Il puzzasottoilnasologo di professione, è tristemente noto, vive infatti nel culto ossessivo di un passato ritenuto (a torto) irripetibile, ma proprio nel momento in cui ne vede finalmente tornare indietro una succulenta fetta, viene invece puntualmente colto da un’improvvisa quanto incontenibile voglia di avanguardia. In simili circostanze, mezzo minuto di esposizione al repertorio di Jlin o di Kali Malone sarà sufficiente a far istantaneamente regredire il soggetto all’iniziale fase di negazionismo nostalgico. Il nuovo, per apparire come racconto, non ha mai bisogno di stravolgere i colori dell’orizzonte.

LP: Volevo Essere Un Duro
Nel caso di Corsi ci troviamo poi a dover superare un gigantesco malinteso. Non siamo infatti di fronte a un nuovo genere di cantautorato. Ci stiamo invece finalmente confrontando (meglio tardi che mai) con una tipologia di artista, ad oggi, ancora inedita per la grammatica della canzone italiana e il cui tratto distintivo è individuabile nella capacità di conciliare, armonizzandole, una serie di influenze eccentricamente distanti. D’altro canto, chi si dimostra capace di azzerare lo spazio che separa l’esuberanza glam del Rocky Horror Picture Show dall’ironia di Ivan Graziani (la divertente autobiografia apocrifa di Let There Be Rocko lo conferma) compie, di fatto, un atto creativo di non poco conto. Volevo Essere Un Duro non è l’album della maturità ma (e forse è più importante) quello della consapevolezza dei propri mezzi, nel quale la poetica di Bestiario Musicale e di Cosa Faremo Da Grande sposa l’immediatezza di La Gente Che Sogna. Il lirismo fiabesco di Corsi si infila le scarpe ma mette un solo piede per terra, calandosi in una realtà immaginaria abitata da personaggi che non hanno affatto voglia di diventare completamente reali. Come in una versione, se possibile, più onirica di Burattino Senza Fili, il linguaggio è completamente funzionale a una quotidianità che può essere realmente compresa solo quando viene osservata attraverso gli occhi del fanciullino di memoria pascoliana.
Sigarette, con una leggerezza degna di Gianni Rodari, mette in scena un rito di ingenua autoassoluzione dai propri vizi quotidiani, mentre i tre deliranti minuti di Francis Delacroix, a metà tra il miglior Bennato (manca solo il kazoo) e Dylan di Motorpsycho Nightmare, esemplificano alla perfezione l’estetica di un autore che, con lucida e ferma determinazione, dimostra una visione chiara del proprio percorso.
La struggente bellezza (riempita solo da voce e piano) di Nel Cuore Della Notte chiudendo magistralmente una sequenza di brani che possono legittimamente ambire allo status di “nuovi classici”. La musica di Lucio Corsi è come un cuscino del quale non sapevamo di aver bisogno. Impariamo a tenerci stretti certi regali inattesi, ma ricordandoci anche che alcuni artisti finiscono, misteriosamente, per diventare nostri amici e “un amico a volte è come una chiesa / un’ambulanza che ti corre incontro”. 8,5/10
By Manuel Nash
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