Recensione: Black Country, New Road – Forever Howlong

Scritto da il 22 Aprile 2025

Per onestà intellettuale sento il dover informare il lettore in merito ad uno scabroso retroscena: non sono mai riuscito ad innamorarmi dei Black Country, New Road. Sia chiaro, non mi sognerei mai di negarne le evidenti qualità già ampiamente dimostrate dalla formazione di Cambridge ma la storia delle affinità elettive può tirare brutti scherzi e, a pensarci bene, forse è proprio questo l’argomento alla base dell’inattesa separazione tra la band ed Isaac Wood. Sostituire in corsa il leader (cantante ma anche autore) è sempre un azzardo enorme, spesso, se non sempre, potenzialmente letale. La letteratura sull’argomento, particolarmente ricca, ci ricorda infatti che, in situazioni del genere, la bilancia tende ad inclinarsi dal lato sbagliato.

Nel caso in oggetto, gli elementi di novità, sotto il profilo sia estetico che sostanziale, sono il risultato di un’improvvisa e traumatica sterzata. Il cambio di registro è evidente e quando dico “evidente” intendo dire che siamo di fronte ad una band che, un po’ per necessità ed un po’ per incoscienza, ha scelto di sottoporsi ad un trapianto totale di pelle. Del passato resta solo la ragione sociale. Tyler Hyde, Georgia Ellery e May Kershaw, che ora si alternano alla voce, hanno spalancato le finestre sulla campagna inglese e l’aria nuova ha messo in soffitta i dischi di Slint e June of 44.

Black Country, New Road – Forever Howlong

Forever Howlong gode di un’opulenza armonica spiazzante, quasi spregiudicata e sembra il resoconto di una gita a Canterbury organizzata dalla formazione storica dei Fairport Convention insieme a Pavement, Kurt Weill e Gruff Rhyss. Come ulteriore punto di riferimento, per chi dovesse avere la fortuna di ricordarli, mi permetto di tirare in ballo anche i Gorky’s Zygotic Mynci di Euros Child.

Una cosa è certa: trent’anni fa, di fronte a un album del genere, sarei scappato a gambe levate, urlando “bello, ma non ci vivrei”. Comprendo quindi tutte le perplessità di altre tipologie di ascoltatori, meno inclini ad un eclettismo spericolato che non ha voglia di scoprire le differenze (ammesso che esistano) tra il cabaret bucolico ed il folk cameristico. Bisogna però riconoscere che il tempo non si diverte a cambiare solo i bisogni artisti ma anche quelli degli ascoltatori. Il bello del gioco, se ci pensiamo bene, è proprio questo. 8.3/10

By Manuel Nash

 

 

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