Tool: recensione del concerto di Hanover, 25 maggio 2024
Scritto da Stax il 29 Maggio 2024
Tool
Hannover, Zag Arena, 25 maggio 2024
live report
Quanto si viaggia per i Tool. Del resto dalle nostre parti si fanno vedere ben poco, per cui se la montagna non va a Maometto, vorrà dire che anche stavolta Maometto si imbarcherà per qualche luogo più o meno esotico. Stavolta la ridente cittadina di Hannover, per la prima data di questo tour europeo.
Eh sì, mentre chi scrive – comodamente appoggiato su un tappeto di nuvole – è già di ritorno in patria, il quartetto di Los Angeles è già pronto a salire nuovamente sul palco in quel di Amsterdam, per mostrare anche agli olandesi come a sessanta anni stra-suonati si possa ancora metter su uno show memorabile. E stiamo volando bassi.
Non sono ancora le 20.30 quando la Les Paul di Adam Jones mitraglia una Zag Arena gremita. L’attacco di Jambi è devastante, e quando, come un rullo compressore arrivano il basso di Justin Chancellor e batteria di Danny Carey, quasi ti auguri che venga giù il tetto, se non altro per ottenere un’acustica migliore.
L’apparizione di Maynard James Keenan, nel suo ormai classico outfit da Joker punk, è accolta da un’ovazione, nonché da centinaia di sospiri di sollievo: non solo il tetto dell’Arena non crollerà, ma il nostro si dimostra in una forma smagliante.
Dalle prime sillabe, la sua voce ti taglia in due. “Fresco” del proprio compleanno itinerante in compagnia di A Perfect Circle, Puscifer e Primus, Keenan non si concede neanche una sbavatura. Incredibile che una delle voci più belle della storia del rock sul palco sia così sfuggente, a tratti persino invisibile. Quasi sempre in penombra, cede volentieri la scena ai suoi compagni e ai visual super-trippy che da sempre caratterizzano i live della band.
Carey giganteggia al centro del palco. È semplicemente impressionante. Una piovra in tenuta da basket. E così scorrono via la profetica Fear Inoculum (e se i fan hanno dovuto attendere quasi tre lustri per l’uscita dell’omonimo album, pensate solo che i Tool lo stanno portando in tour da qualcosa come 4 anni…) e la possente Rosetta Stoned, introdotta da una Lost Keys (Blame Hofmann) particolarmente stralunata. L’ennesimo boato accoglie Pneuma. Il suono del basso di Justin è l’equivalente sonoro di un blocco di granito. E così, mentre il mondo esterno ancora si perde in congetture riguardo la ritmica del brano, noi fortunati comuni mortali ci godiamo questo spettacolo incredibile.
Per i più distratti: nei dischi dei Tool vi sono pochissime sovraincisioni. E dal vivo, Carey riproduce fedelmente ogni singolo suono presente sull’album. Ė una festa per le orecchie, e dalla nostra posizione vicinissima al palco ma leggermente defilata, anche per gli occhi. Dal passato più remoto di Undertow arriva poi inaspettatamente Intolerance, e alla mente torna la mia personale folgorazione sulla via di Reading, nel lontano 1993. I Tool allora erano “soltanto” un grandissimo gruppo, ma già pronto a diventare di lì a poco monumentale. Ma è il momento di una delle vette della montagna scalata stasera: il suono delle onde non può che segnare l’inizio di Descending. Adam ora accarezza le corde della chitarra, impassibile come sempre. Per diversi minuti è davvero come essere trasportati in un altro spazio/tempo. Anche gli effetti visivi super-trippy sono scomparsi. La voce di Maynard, finalmente, arriva chiara, melodiosa e al tempo stesso inquietante, come la piramide nera che incombe sul palco. La Zag Arena è ora un’astronave. Jones, ai comandi, ci sta portando in volo su un paesaggio post-apocalittico. Nessuno vuole scendere, ma un colpo di gong ci riporta, di schianto, sulla terra. Apoteosi. Ma ancora non basta: The Grudge chiude la prima ora e mezza (!) di concerto. Un gigantesco timer segnala che abbiamo tutti 12 minuti esatti per riprenderci. Basteranno?
Probabilmente no. Danny torna sul palco per il suo assolo Chocolate Chip Trip, o almeno qualcosa che vagamente ricorda la traccia presente sull’ultimo album. Suona prima il gigantesco gong con le bacchette, poi-quasi casualmente-un po’ di batteria e infine una serie di synth modulari ripresi in soggettiva da una body-cam che porta al collo. Fuori di testa.
Poi la scena è tutta per Justin con un mini-assolo talmente carico di distorsione che chiudendo gli occhi uno penserebbe di essere stato di colpo elitrasportato a un concerto dei Sunn O))). È l’incipit di un altro ripescaggio da Undertow: Flood, pesante come un macigno. Legato al tuo collo. Che ti trascina nelle profondità di un mare nero come petrolio. Invincible infine è la carcassa del Titanic che ti schiaccia sul fondale. È finita.
A Maynard rimane giusto il tempo per salutare Waldo (proprio quel Waldo, quello di Where is Waldo?) seduto in prima fila, di concedere finalmente ai videomakers da smartphone di riprendere Stinkfist, e ci salutiamo. Già, quanto si viaggia con i Tool. Ma è ora di tornare a casa.
Mi rimane un pizzico di sana invidia per chi, stasera, li ha visti per la prima volta, perché diciamocelo francamente: vedere i Tool dal vivo è una life-changing experience. E se per me dovesse essere stata l’ultima, per sopraggiunti limiti di età, beh è valsa ogni singolo centesimo speso e ogni centimetro di strada percorso. Ma non sarà così, perché il 15 giugno a Firenze lo rifacciamo. Eccome se lo rifacciamo!
Setlist:
- Jambi
- Fear inoculum
- Lost keys / Rosetta Stoned
- Pneuma
- Intolerance
- Descending
- The grudge
——
- Chocolate Chip Trip
- Flood
- Invincible
- Stinkfist
PS: nota a margine per i potentissimi Night Verses in apertura, che speriamo di rivedere al più presto con una acustica che consenta di apprezzarli appieno.